La cultura della ginestra nella civiltà contadina calabrese: tessitura, carbonaie, scope, essenza…

La ginestra, con i suoi fiori di un giallo intenso e molto profumati, contribuisce a disegnare alcuni dei paesaggi collinari e montani più comuni e suggestivi della Calabria tra aprile e luglio. Il periodo di fioritura dipende anche dall’altitudine in cui cresce questo generoso arbusto spontaneo che nei millenni è stato utilizzato per produrre, in tutto il bacino del Mediterraneo, fibre e tessuti resistenti, o anche per realizzare scope robuste, o per ricoprire le carbonaie e alimentare il fuoco (usando la parte legnosa della pianta), o ancora per ricavare olio essenziale dai fiori. I tessuti di ginestra risultano abbastanza ruvidi e in genere nella civiltà contadina sono stati impiegati per le attività agricole (sacchi, stuoie, ecc.) o per la vita quotidiana (strofinacci, tovaglie, ecc., anche indumenti). Fino ai primi decenni del secolo scorso, e anche nell’immediato Dopoguerra, dai rami verdi della ginestra si ricavava, in virtù di una complessa lavorazione che richiedeva anche il ricorso dell’acqua corrente di fiumare e torrenti, abbondante filamento da tessere al telaio. Quella della ginestra è stata una vera è propria cultura che da qualche anno a questa parte sta assistendo a tentativi di recupero e di rilancio, riattivando tecniche e saperi di un tempo. A seguito di ricerche scientifiche e tecnologiche finalizzate alla modernizzazione dei processi produttivi si sta immaginando di impiegare anche nei tempi moderni la ginestra in linea con la filosofia della sostenibilità ambientale ed economica. I ginestreti svolgono un ruolo importante, tra l’altro, per combattere efficacemente il dissesto idrogeologico.