Il Castello di Pizzo (Vibo Valentia) è conosciuto soprattutto per la tragica fine di Gioacchino Murat che vi trovò la morte, per fucilazione, il 13 ottobre 1815, dopo alcuni giorni di prigionia. All’interno del Castello è possibile visitare un Museo che contiene molti riferimenti alla triste vicenda del valorosissimo generale, Maresciallo dell’Impero francese e Re di Napoli. Gioacchino Murat era nato nel 1767, da genitori locandieri, in un piccolo comune occitano, per cui venne fucilato nel Castello di Pizzo all’età di appena 48 anni (neanche compiuti). Sin da giovanissimo fu accanto a Napoleone Bonaparte dimostrandosi sempre suo fedele e intrepido ufficiale. Divenne aiutante di campo del Corso e comandò la sua impetuosa cavalleria nelle campagne d’Italia e d’Egitto: ne seguì anche, esponendosi sempre in prima persona, l’ascesa politica. Nel 1800 sposò Carolina Bonaparte (1782-1839) e quindi divenne cognato di Napoleone. Carolina gli diede quattro figli. Proclamato l’Impero, Murat venne proclamato maresciallo e ben presto dimostro grandissimo sprezzo del pericolo nelle famose battaglie di Ulm, Austerlitz, Jena, Eylau, guidando poderose cariche della cavalleria francese. Divenne Duca di Berg nel 1806 e nel 1808 Re di Napoli prendendo il posto del fratello di Napoleone, Giuseppe Bonaparte, che l’imperatore volle spostare alla guida della corona spagnola. Seguì accanto al cognato la catastrofica invasione dell’impero moscovita, ma dopo la sconfitta decisiva dei francesi a Lipsia (19 ottobre 1813) causata dalle truppe unite di Austria, Svezia, Prussia e Russia, immaginò di salvare il proprio regno in solitudine passando al nemico (è del gennaio 1814 il trattato di alleanza fra Austria e Napoli), e credendo quindi di impedire la restaurazione borbonica. Napoleone abdicò formalmente l’11 aprile 1814 (trattato di Fontainebleau), dopo che la coalizione avversaria aveva conquistato anche Parigi, e dal 4 maggio fu esiliato nell’isola d’Elba. Gli epici Cento Giorni di Napoleone, a partire dal 26 febbraio 1815, conclusisi con la sconfitta di Waterloo (18 giugno) che comportò il suo definitivo esilio nella lontana Sant’Elena, videro Gioacchino Murat di nuovo pronto a difendere l’Impero francese. A capo di truppe napoletane Murat attacco gli austriaci ma venne sconfitto a Tolentino (2-3 maggio). Il 4 maggio 1815, visto ormai perduto il Regno, Murat abdicò. Il 12 maggio Murat lanciò il famoso proclama agli Italiani chiamandoli alla rivolta per l’indipendenza. Il 25 maggio sbarcò in Francia, a Cannes, ma non riuscì (per volere di Napoleone, che però se ne pentì successivamente meditando sul ruolo decisivo che forse l’intrepido comandante di cavalleria avrebbe potuto avere a Waterloo) a riprendere il proprio ruolo nell’Armata francese. Saputo della disfatta di Waterloo, l’ex re di Napoli si rifugiò in Corsica il 25 agosto dove immagino di organizzare una spedizione per riprendersi la corona partenopea. Murat partì da Ajaccio il 28 settembre intenzionato a sbarcare a Salerno, ma una tempesta lo fece giungere a Pizzo l’8 ottobre. I gendarmi borbonici lo arrestarono e lo rinchiusero nel locale carcere. Immediatamente re Ferdinando IV di Borbone, reinsediatosi a Napoli, nominò una commissione militare per sottoporre a giudizio l’odiato usurpatore. La condanna capitale giunse senza esitazione alcuna ed a Murat fu concesso di scrivere un’ultima lettera alla moglie Carolina e agli amati figli. Si comportò con straordinaria compostezza e onore di fronte al plotone d’esecuzione cui, dopo essersi rifiutato di farsi bendare, intimò: “Risparmiate il mio volto, mirate al cuore, fuoco!”. La fotografia che accompagna questo articolo è relativa all’iscrizione marmorea posta sopra il portone d’ingresso del Castello di Pizzo.